L’Educazione di Giulio

Regia: Claudio Bondì

Sceneggiatura: Claudio Bondì (soggetto Alessandro Ricci, Claudio Bondì)

Fotografia: Roberto Meddi

Montaggio: Nicola Barnaba

Musica: Lamberto Macchi

Scenografia: Simona Garotta

Costumi: Francesca Arcangeli

Prodotto da: Veradia Film

Distribuito da: Orango Film

Durata: 120′

Ettore: Roberto Acconero

Margherita: Tania Lepore

Giulio: Alessandro Pellizon

Bianca: Giorgia Porchetti

Sturano: Roberto Zibetti

Emma: Paola Roman

Giulio è un ragazo che vive nella Torino del ventennio fascista. Di famiglia borghese, la sua esistenza è circoscritta dalle anguste mura del Reggio manicomio femminile torinese, di cui suo padre è l’economo. Filtrata dagli occhi di Giulio la realtà appare una passerrella di persone insane, che riflettono in qualche modo la situazione claustrofobica della politica: sia nel manicomio che nella sua famiglia vige infatti un rigore portato all’estremo dall’intrasigenza di suo padre e da uno Stato che interna le persone non allineate con un comportamento ideologicamente uniforme. Solo la spensieratezza di una ragazza e i consigli di un amico fotografo lo renderanno libero.

Claudio Bondì (già aiuto regista di Roberto Rossellini) firma questo lungometraggio ispirandosi all’infanzia del critico d’arte (ma anche sindaco di Roma) Giulio Carlo Argan, che davvero visse la sua adolescenza in un manicomio per via del lavoro del padre. E il giovane Giulio diviene il vettore per mezzo del quale Bondì ritrae la Torino plumbea del fascismo, assumendo quale punto di vista il suo manicomio. Le pazze che lo popolano sono quindi metafora smaccata dell’azzeramento ideologico in cui si dibatte la società di quel periodo. Giulio scopre allora che il mondo non è limitato solo alla sua dimora bizzarra, né è disegnato dai precetti morali di suo padre. Bondì illustra questo cambiamento controllando la recitazione del bravo Alesandro Pellizon con un crescendo graduale delle sue emozioni. Dapprima è narcotizzato dall’ambiente in cui rimane ingabbiato, poi – sempre con misura – scopre la propria vocazione umanista e insorge con impennate emotive che ne concretizzano la coscienza civile. La recitazione e la fedele ricotruzione scenografica del manicomio torinese valorizzano il film di Bondì; metre invece per quel che concerne lo sviluppo drammaturgico, salvo il giovane Altan, sia per il tratteggio dei personaggi, che per lo sviluppo della vicenda, il film rimane ad uno strato epidermico. Privo di uno scandaglio che sezioni l’anima, ad esempio, delle inquiline del manicomio, che rimangono quasi come puro e riduttivo decoro.

Ciò comunque non scredita la pellicola in questione: è in ogni caso una lucida analisi socio-antopologica di Bondì intorno ad un periodo della nostra Storia al quale come un rima baciata si sovrappone il manicomio: luogo di costrizione e di dolore.

Luigi Senise

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