MING DAI AHUI ZHU

In seguito ad un incidente con la moto Tung-ching, un ragazzo di Taiwan impiegato presso il banco dei pegni del padre malato, perde le linee della vita che noi tutti abbiamo tracciate sul palmo della mano (per chi ci crede, si capisce). Un’infermiera gli spiega che da quel momento in avanti la sua vita non seguirà più un destino prefissato ma sarà del tutto imprevedibile, mentre la sua ragazza, esperta nel leggere la mano, cercherà di vedere chiaro nel destino di entrambi, senza però accorgersi che una ragazza misteriosa insidia il suo uomo.

Il regista taiwanese Hsiao Ya-chuan (assistente del maestro Hou Hsiao-hsien per il film “Flowers of Shangai” e già affermato in patria come regista di spot televisivi) porta in concorso al Torino Film Festival il suo primo lungometraggio, il cui titolo tradotto significherebbe “Immagine allo Specchio”. Un film molto curioso, ben diretto e che contiene quel pudore dei sentimenti tipico del cinema orientale. Voci off (come in alcuni lavori di Wong Kar-wai) si rincorrono su immagini nere, personaggi strambi vengono osservati con grande tenerezza, mentre gli spazi oppressivi in cui si svolge il film (l’angusto stanzino che ospita il banco dei pegni, la metro, il bagno in cui due personaggi cercano di fare l’amore) danno l’idea di un malessere generazionale che difficilmente potrà essere assorbito.

“Ming Dai Ahui Zhu” è un’opera che contiene idee per almeno altri tre film e pare assurdo che sia inserito nella stessa categoria (cioè il concorso lungometraggi) dei due sciaguratissimi film italiani.

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