CHINGU
Il film, in concorso nella sezione lungometraggi, racconta la storia di quattro ragazzi nati e cresciuti a Pusan, in Corea. Ne seguiamo le gesta dall’infanzia fino all’età adulta, quando tutti prenderanno strade diverse. Due di loro faranno carriera come gangster ma si troveranno a capo di bande rivali, con le tragiche conseguenze che si possono immaginare.
Il regista, Kwak Kiung-taek, ha dichiarato di non amare troppo i melodrammi commoventi, eppure il suo racconto di formazione spinge sul tasto del sentimentalismo sin dalla prima immagine, in cui un gruppo di bambini, ripreso al rallentatore, corre per le strade di Pusan accompagnato da una musica ridondante. Il modello di riferimento potrebbe essere il magnifico Woo di “Bullet in the Head” (senza il Vietnam di mezzo) ma ogni paragone è francamente impossibile, per non dire ingeneroso. Come nei film del maestro di Hong Kong, anche in questo caso il sentimento che predomina su tutti gli altri è l’amicizia, un’amicizia che resiste allo scorrere del tempo e che non può essere tradita, pena la morte.
Non si nega al regista una vena sincera e una buona padronanza dei mezzi spettacolari, ma quello che convince di meno è la ricerca della soluzione ogni volta più spettacolare ed effettistica, nonché la recitazione sopra le righe che impone a quasi tutti i suoi attori. In ogni caso risulta un capolavoro se paragonato ai film italiani in concorso.