Figli di Annibale
…figli del cinema italiano?
Un bel film? Una cosa orripilante? Innovativo? Noioso? Ho deo problemi a definire quest’ultimo lavoro di Ferrario, autore che – devo ammettere per dovere di cronaca – non apprezzo particolarmente. Il suo Tutti giù per terra era un raro esempio di vero squallore cinematografico, una brutta sceneggiatura tratta da un brutto romanzo, un film mal girato e mal recitato.
Questo Figli di Annibale sicuramente riscatta il suo regista, perchè se non altro mi ha fatto ridere in alcuni passaggi. Gli attori sono bravi, forse i più bravi che abbiamo in Italia – e anche questo incide parecchio. La storia è divertente e tutto sommato ben costruita. Ci sono però dei punti che mi danno molto da pensare, e che non mi convincono del tutto.
Ferrario è, a quanto pare, uno sperimentatore. Già in quell’insulto alla cinematogafia che era il suo film precedente, aveva provato a velocizzare il montaggio e ad azzardare inquadrature poco canoniche. Il fatto è che il tentativo decisamente apprezzabile si rivelava un vero e proprio fallimento. Nel suo nuovo lavoro le sperimentazioni sono moltiplicate, ci sono filtri particolari, immagini velocizzate, inquadrature capovolte. Qualche trovata funziona, ed è perfino apprezzabile. Qualcos’altro risulta troppo presante, veramente troppo.
La storia. La storia è, come detto, divertente, addirittura intelligente. Non è un caso – è ovvio – che la scenggiatura sia stata scritta a quattro mani con Diego Abatantuono. Ma vedendo il film, mi ritorna alla mente il fantasma di un orrore nostrano che ha ormai assunto la forma di una vera e propria persecuzione: il tema sociale. Figli di Annibale non può essere definito un film a sfondo sociale, perchè di fatto è una commedia. Eppure Silvio Orlando è un disoccupato che scappa dalla Falchera, quartiere che per i torinesi si carica, non appena nominato, di temi sociali quasi quanto San Salvario. E nelle sue peregrinazioni insieme al buon Abatantuono i due si imbattono più volte negli immigrati cladestini, citati, inquadrati, infilati un pò dappertutto come tema ricorrente. Non parliamo nemmeno dell’ormai stradiffuso meridionalismo che, da mentalità giusta e carica di valori, si sta lentamente trasformando grazie al cinema di Ferrario, Amelio e altri in una farsa che trasformerebbe in leghista anche uno che vota da anni Rifondazione. E sorvoliamo anche sulla colonna sonora, che mi spinge a considerare un eroe chi in Italia avrà il coraggio di mettere della buona musica pop in un film, visto che da Sud in poi se non metti i gruppi dei centri sociali napoletani sei fuori moda.
Non degeneriamo. Cerchiamo una conclusione. La conclusione è che il film di Ferrario è nel complesso un buon film, ma::
1- Per sperimentare bisogna avere delle idee molto chiare, perchè a fare cose nuove sono capaci tutti, il problema è fare cose nuove che abbiano un valore.
2- Il tema sociale è un tema tipico della nostra cultura giusto e importante. Solo che non si vive di tema sociale e basta. I film che parlano del nostro paese e dei suoi problemi sarebbero apprezzati di più se qualche volta si potesse vedere un giallo o un film di fantascienza fatto in Italia. Per questo, grazie a Salvatores che con Nirvana ha lanciato un messaggio importante, che -si spera- qualcuno coglierà. Alla lunga, dopo i vari Ferrario, Amelio, Martone e compagni (senza nulla togliere al valore dei loro singoli film), anche il più classico dei critici accademici non potrebbe fare a meno di sentire una vocina che dice “…Arma Letale, Bruce Willis, Beverly hills cop uno, de e pure tre…”.
E allora, ancora una volta, guardiamo gli americani…