Bread and roses

di Ken Loach
con Adrien Brody, Pilar Padilla, Elpidia Carrillo; GB, 2000

Era tempo che Loach strappasse i manifesti per tornare a scrivere storie di donne e di uomini, le storie degli ultimi della terra incarnate da quei personaggi, non belli e magnifici, che hanno fatto del suo verismo arrabbiato l’ultima esperienza notevole di cinema politico europeo.
Loach ricorda alle coscienze troppo distratte che non bastano i simboli a creare il mondo nuovo dei dispersi, degli scampati, degli emigrati, che non si colma con le parole il fossato di disperazione che separa gli uomini dai topi e sembra fare ammenda, lasciando pura azione ai personaggi in luogo dei monologhi sociali cui ci aveva abituato, agli eccessi concionatori dei lavori precedenti. E’ fondamentale la scelta di girare il film nell’America dei diseredati, nella patria del sogno moribondo, in una Los Angeles non didascalica fotografata a tinte insolite, con accenti documentaristici, parlata con toni vicini all’improvvisazione, fondamentale perché quei lavoratori in lotta per il pane e per le rose, per l’urgente e per la dignità, per il necessario e per il diritto al superfluo, per ciò che serve e per ciò di cui si può godere, ammoniscono il continente incantato, l’Europa degli ottimismi al neon benedetti dalle multinazionali, poiché in quell’America presente altro non si vede che il passato (il futuro?) del nostro stanco continente. Tornano a parlare le vicende, parlano gli uomini, la retorica si è ritirata nella polvere della storia e la vita sposta le montagne; l’occhio della cinepresa non commenta, si limita a vedere e ci lascia liberi di guardare, come fossimo a cavalcioni di muri ancora da abbattere.
Il cinema di Loach è da sempre cinema sporco, perché senza sogno, fatto della materia dell’urgenza di urlare e di scacciare i fantasmi dell’arte con le verità del sociale a tutti i costi; questa volta, l’ultimo dei registi comunisti, concede meno alla sincerità degli intenti e lascia maggior spazio a utopie di cuore, di sudore, di speranza. C’è più lealtà al cinema che cinema della realtà, c’è più voglia di piangere sorridendo che di vaneggiare proclami.
Attenzione ad Adrien Brody, perché ne sentiremo parlare ancora, per asciuttezza ed equilibrio del gesto teatrale, perché non è bello e il tempo lo farà anche più degno.

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