Un amor de Borges

Il premio al miglior film del XVI Festival del Cinema Latino Americano di Trieste è andato infatti alla pellicola del regista Javier Torre, Un amor de Borges (Argentina, 2000), mentre Nueve Reinas di Fabián Belinsky (Argentina, 2000) ha vinto il premio alla miglior sceneggiatura.
Basato sul libro biografico di Estela Canto, Borges a contraluz, il “Miglior film” del festival racconta l’amore tra la scrittrice e Jorge Luis Borges, negli anni del primo governo del generale Perón, a cavallo tra gli anni ’40 e ’50. Con una narrazione sobria ed elegante, ci presenta la parabola del rapporto tra i due protagonisti, dal primo incontro all’abbandono finale, facendo emergere poco a poco le problematiche e contraddizioni dell’uomo Borges. Il fascino della pellicola risiede infatti proprio nella centralità del personaggio dello scrittore, sia perché ne analizza le difficoltà interiori e relazionali, sia perché in questo modo offre un’ampia rassegna del suo pensiero, attraverso i dialoghi che riprendono ed espongono il suo modo di sentire il mondo. I discorsi di Borges sulle traduzioni, sulla famiglia, la concezione che aveva sulla sua opera, il processo creativo di un celebre racconto, El Aleph, le sue riflessioni sull’amore e sulla passione, sul dolore, il disinteresse per il denaro, sono i temi che vengono toccati nei dialoghi, e la finzione cinematografica, nella sua modalità di ricostruzione storica e biografica, offre l’esperienza di vedere e ascoltare Borges nell’intimità più profonda del suo sentire, nella vita quotidiana. Da questo punto di vista è un appassionato omaggio allo scrittore più universalmente celebre della letteratura argentina. Ma al contempo, il film ne analizza debolezze e contraddizioni. Incapace di vivere e sentire l’amore come esperienza fisica e sensuale, succube della figura della madre come un eterno bambino, rinchiuso nel suo mondo letterario e totalmente inadatto alla vita pratica, vittima di una timidezza disarmante, l’uomo Borges pagava così il prezzo di una sensibilità intellettuale e di una genialità che in definitiva lo allontanava dal mondo. Non a caso molte delle sue riflessioni vertevano proprio sul tema dell’incomunicabilità, e non a caso, l’Aleph, quella “sfera di due o tre centimetri di diametro in cui sono presenti tutti i luoghi del mondo”, era l’espressione letteraria, la trasfigurazione fantastica del suo amore assoluto per Estela, la donna che rinchiude in sé l’universo, e che per ciò stesso, è anche praticamente e fisicamente inesperibile, se non nella forma della pura contemplazione. Per questo Estela decide alla fine di lasciarlo, perché come dice “una donna ha anche bisogno di sentire amato il suo corpo”, ma non prima di avergli almeno dato la forza, con la sua presenza, di affrontare l’arduo compito di parlare al pubblico in una conferenza.

Alessandro Rocco
rokkoale@yahoo.com

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