En la puta vida

Per il premio speciale della giuria ci spostiamo in Uruguay, con En la puta vida, della giovane regista Beatriz Flores Silva. Il film, basato su fatti realmente accaduti, tratta il problema della prostituzione in Uruguay e soprattutto la condizione delle prostitute portate in Europa e tenute in ostaggio dalle organizzazioni criminali. Il tono iniziale del film è piuttosto quello di una commedia, ed il personaggio principale, Elisa, esercita la prostituzione senza alcun tipo di costrizione o problematica morale, come dice “yo no soy puta, trabajo de puta” (“non sono una puttana, lavoro come puttana”). Il suo sogno è quello di mettere insieme il capitale sufficiente ad aprire un negozio di parrucchiera insieme all’amica Lulú, e la prostituzione sembra il modo più rapido ed efficace. Ma nell’esercizio del suo lavoro Elisa conosce “El cara”, un uomo ricco e affascinante che le parla dell’Europa, dove le ragazze possono guadagnare fino a tremila dollari al giorno. Elisa non sa resistere, ed innamorata dell’uomo, gli chiede di portarla a Barcellona. Ma qui, dall’altro lato dell’oceano, scopre che la realtà è diversa dalle sue fantasie. Le cose si complicano anche per “El cara” che, in seguito ad una rissa in cui uccide un travestito brasiliano, è arrestato dalla polizia. Alla sua uscita di galera, grazie ad un accordo di Elisa con la polizia cui offre informazioni sul giro dei brasiliani (rivali di “El cara”), l’uomo decide di far capire alla ragazza come stanno veramente le cose. Per toglierle dalla testa l’assurda idea di sposarsi con lui, “El cara” picchia brutalmente la donna, in una scena che segna un radicale capovolgimento del tono narrativo, facendole anche capire che non le spetta un soldo di quelli da lei guadagnati e rifiutandosi di restituirle il passaporto. Elisa comprende di colpo la sua reale condizione di schiava. Più avanti scoprirà anche che i figli, lasciati a pensione da una signora in Uruguay, sono finiti all’orfanotrofio, dato che l’uomo non ha mai spedito i soldi della retta. Per questo, e per la precedente morte dell’amica Lulú, Elisa decide di collaborare con la polizia e di incastrare “El cara” e tutti i soci dell’organizzazione, in un processo che li condanna a diversi anni di galera.
I fatti raccontati, seppure con numerose licenze, sono realmente accaduti tra Montevideo e Milano nel 1992, e sono esposti nel libro del giornalista Mario Urruzola El huevo y la serpiente. Se nel film sono stati trasferiti a Barcellona è perché nessun produttore italiano si è voluto interessare al progetto della pellicola, che in pochi mesi di proiezioni in Uruguay ha polverizzato i record di incasso nazionali, e superato anche film americani di successo. Oltre all’importanza tematica, che denuncia una condizione troppo spesso ipocritamente ignorata e dimenticata, è da mettere in evidenza la modalità del racconto, che assume uno sguardo fortemente focalizzato sulla protagonista femminile (uno sguardo di genere, un film sulle donne girato da una donna), basandosi soprattutto sui suoi sogni, sulla sua genuinità e freschezza di carattere, capace non solo di resistere e rovesciare la drammatica situazione in cui si trova, ma anche di illuminare con la sua presenza lo squallore della realtà; di rendere piacevole, con la sua innata vitalità, una storia così sordida. Ma purtroppo il lieto fine del film non corrisponde del tutto alla realtà, in quanto la vera Elisa riuscì sì a tornare a casa, grazie anche all’interessamento al suo caso del giornalista e delle autorità, ma oggi la donna è “desaparecida”, e si ignora se si sia nascosta o se abbia subìto la rappresaglia delle organizzazioni criminali, secondo quanto ha dichiarato la regista alla proiezione del film al Festival.

Alessandro Rocco
rokkoale@yahoo.com

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