Bicho de sete cabeças

Bicho de sete cabeças, di Laíz Bodansky, film brasiliano sull’inferno delle istituzioni psichiatriche, cui è stato elargito il premio alla miglior opera prima e il premio della giuria degli studenti della città. La storia si basa sulla tragica esperienza di Austregésilo Carrano, da lui narrata nel libro Rincón de los malditos (nella traduzione spagnola). Attualmente Carrano è attivista del movimento anti-manicomiale in Brasile, dove, secondo le sue denunce, ancora settantamila uomini e donne subiscono la violenza delle istituzioni psichiatriche autoritarie. Una nuova legge, votata il passato Aprile, si propone di chiudere questi centri, che spesso ritengono i “pazienti” molto più del dovuto per poter usufruire dei fondi pubblici, come mostrato dal film e come confermato dal ministro della sanità brasiliano José Serra in un articolo del quotidiano del Costa Rica “La Nación”, ma il processo può richiedere ancora degli anni.
La storia di Neto, protagonista del film, mostra come dai suoi atteggiamenti appena un po’ ribelli (vuole viaggiare da solo e senza molti soldi, si dedica a “graffitare” i muri della città ed infine fuma occasionalmente degli spinelli) il padre concluda la necessità di internarlo e sottoporlo ad una cura psichiatrica. Medici ed infermieri della clinica agiscono in base ad una routine repressiva che mira soltanto al mantenimento dei pazienti nella struttura, e che è responsabile del loro peggioramento. La chiusura forzata, l’eccesso di farmaci, e infine l’elettroschock punitivo per un tentativo di fuga, provocano in Neto un effettivo squilibrio mentale dal quale non riuscirà a riprendersi. Quando finalmente esce dalla clinica, è in uno stato fortemente depresso, e cade poi in un’ulteriore crisi che lo porta ad un secondo internamento, ancora peggiore del primo. Qui ha l’ostilità diretta di un infermiere piuttosto brutale, che alla fine cerca anche di lasciarlo morire nel suo tentativo di suicidio, senza soccorrerlo.
Alla violenza delle “cure” psichiatriche si aggiunge la problematica dell’incomprensione generazionale tra genitori e figli. È infatti il padre che costringe Neto nella clinica, convinto che sia l’unico modo per curarlo da quella che crede sia tossicodipendenza. Soltanto alla fine, in seguito ad una lettera che Neto gli scrive prima di tentare il suicidio, sembra rendersi conto del suo errore, e decide di liberare il figlio dai tentacoli del “mostro psichiatrico”.
Il film ha fatto suscitato molto interesse in Brasile, soprattutto negli ambienti legati alla medicina e alla psichiatria. Infatti non solo ha il merito di denunciare apertamente una situazione per molti sconosciuta, ma la modalità di rappresentazione evita attentamente di proporre un’immagine stereotipata o caricaturale della follia. La parte iniziale del film mostra il personaggio di Neto
nella sua vita quotidiana: è un ragazzo normale che aspira alla libertà, e non c’è nulla nel suo carattere che faccia presagire il tragico destino che lo attende. In questo modo il tema viene avvicinato nella percezione: non si tratta di fatti lontani che riguardano “i pazzi”, come se si trattasse di una categoria separata, ma di una realtà che ci tocca direttamente, e così lo hanno sentito gli studenti che hanno premiato il film. Hanno partecipato alla co-produzione del progetto Fabbrica Cinema (dell’azienda Benetton) e la RAI.

Alessandro Rocco
rokkoale@yahoo.com

Potrebbero interessarti anche...