I Cento Passi un anno dopo
Ho rivisto su tele+, ad un anno di distanza dall’uscita nelle sale, il film di Marco Tullio Giordana che tanto era stato incensato dalla maggior parte della critica italiana in occasione della sua presentazione al Festival di Venezia. Devo dire che, se allora non mi aveva convinto, alla seconda visione l’ho trovato veramente brutto. Fatte salve le buone intenzioni (di cui, ricordiamolo, è lastricata la strada per l’inferno), rimane un film di taglio banalmente televisivo (La Piovra 100), zeppo di scene madri (il confonto fra il padre e il figlio, fra la madre e il figlio, fra i due fratelli e via di questo passo…), e che vuole spingere in tutti i modi lo spettatore ora all’indignazione ora alla commozione, sfruttando però i mezzi e le soluzioni più facili, come le sequenze ad episodi contrappuntate da canzoni ovviamente mitiche e già abbondantemente mitizzate (“House of the rising sun” degli Animals e, ancora una volta “A whiter shade of pale” dei Procul Harum, canzone quest’ultima che, dopo essere stata genialmente utilizzata da Scorsese per il suo episodio di “New York Stories”, per decreto non dovrebbe proprio essere inserita nella colonna sonora di nessun’altra pellicola).
E poi quanti stereotipi sulla mafia, quante situazioni scontate, quante battute ad effetto, per non parlare della parentesi sulla radio libera che, ad un certo punto, fa scivolare il film verso una specie di rilettura di “Radiofreccia” (altro film ruffianissimo, peraltro). D’altra parte, paradossalmente, in Italia non esiste una tradizione di “mafia movie” di qualità: fatti salvi due splendidi film di Rosi (“Salvatore Giuliano” e “Le mani sulla città”, che non rientrano comunque nel filone in senso stretto), per il resto i capolavori devono essere attribuiti agli americani, sia che trattino il fenomeno in chiave mitica (Coppola), sia che lo sviscerino dal punto di vista sociologico ed entomologico (Scorsese, Ferrara, Newell). Allora è molto meglio rivedere il pur imperfetto “Placido Rizzotto” (ignorato al botteghino ma nel quale si respira comunque del Cinema), o l’anarcoide “Tano da morire”, una sola sequenza del quale graffia molto più dell’intero film di Giordana.