Delitto perfetto

E’ sempre difficile avere a che fare con i remake.
Soprattutto se si tratta – come nella maggior parte dei casi, in questiultimi anni – di remake di film illustri. Cosa si può dire di unfilm che vuole rifare Hitchcock? Il tentativo è, per chiunque abbiaun minimo d’intelligenza, assolutamente folle. D’altra parte, però,è anche vero che i misteri della passione per il cinema e di quellaper le operazioni commerciali ben riuscite sono incomprensibili.
Paragonare questo film al suo predecessore mi pare un’idea a dirpoco ridicola, quindi mi limiterò a sottolineare che la genialetrama è sviluppata in modo discreto e tutto sommato non troppo pretenzioso,dal momento che l’autore ha avuto quantomeno il buon gusto di non rimaneretroppo fedele all’originale. Unico vero punto positivo del film èMichael Douglas, che sembra migliorare man mano che invecchia, nonostanteil ruolo che interpreta sia tutto sommato un classico della sua rosa dipersonaggi. Un cattivo già visto, insomma, ma pur sempre un cattivoche funziona, decisamente incisivo nella sua perfidia. Veramente scandalosa,invece, la presunta stella Gwynet Paltrow, che a dispetto del suo momentaneosuccesso difficilmente lascerà un segno tangibile della sua presenzanella storia del cinema: la sua recitazione è completamente piatta,la sua gamma di espressioni è pari a quella di uno zucchino e persinoi suoi lineamenti sembrano corrispondere perfettamente a quelli del fenomenoda cartolina per adolescenti che dopo tre mesi scompare per sempre daicuori dei suoi vulnerabili sostenitori. Per non parlare del terzo elementodel triangolo, non solo attore mediocre, ma anche sfortunato perchècostretto ad interpretare un ruolo che più conformista e giàvisto di così non potrebbe essere.
In mezzo a questo pazzo esperimento e ai fenomeni da baracconeche circondano il povero Michael Douglas da tutte le parti, emergono comunqueuna fotografia classicheggiante ma notevole ed un’attenzione quasidocumentaria verso i molteplici aspetti di New York, idea effettivamenteinteressante perchè utile ad inquadrare in modo più approfonditole situazioni psicologiche dei vari personaggi. Peccato che anche l’usodegli ambienti diventi fin troppo conformista.

Conformismo: ecco la vera malattia di questo film, indipendentementedal suo essere remake o meno. Conformista la scelta del copione e del cast,conformista anche se piacevole la fotografia, conformista e quasi fastidiosala regia. Qualche volta, oltre alle idee servirebbe davvero un guizzo di genio.

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