CENTRAL DO BRASIL
di Walter Salles, Brasile, 1998
Arriva dal Brasile il film più accreditato alla vittoria dell’Oscar come
miglior pellicola in lingua non originale. Central do Brasil, già
premiato a Berlino, ripercorre lo stile ed i temi dell’Estetica della fame,
dichiarandosi quasi rielaborazione del Cinema Novo (la denuncia sociale, la
sequenza della processione onirica e con effetti di spaesamento), anche se non è film scevro di scelte stilistiche che puntano al sentimentalismo e
alla commozione un po’ facile. Central do Brasil è in generale un film ben
orchestrato, con delle interpretazione di tutto rispetto ed una fotografia
che alterna contrasti a omogeneità visiva.
Un film che si annuncia come viaggio, fin dalla sequenza iniziale nella
metropolitana, posto in cui Dora scrive lettere che forse non spedirà mai.
La metropolitana, l’autobus, il camion, il taxi attraverso un viaggio
estenuante che porta in un altro mondo, come una fuga verso l’origine in cui il
bambino ritorna, e da cui l’adulto rifugge. Ma il viaggio, come nella
migliore tradizione cinematografica, è anche l’approfondimento di una
conoscenza, il definirsi di un rapporto, il mettersi in gioco. La donna ed il
bambino si avvicinano progressivamente alla ricerca di qualcosa che è stato
privato ad entrambi, un padre che manca ad entrambi, e che nessuno dei due
ritrova.
“Anche tu mi dimenticherai, come mi hanno dimenticato tutti”.
Central do Brasil si delinea anche come fiaba , nella tradizione dei
racconti per bambini, ma dalla fiaba si distacca perché intriso di una
consapevolezza adulta e dura. Una consapevolezza che riporta Dora a casa, che la
riporta anche a riscrivere una lettera (le lettere che a volte straccia)
dopo anni; una consapevolezza dell’ineluttabilità delle cose che comunque
non esclude una fiducia.
Cosimo Santoro