La Cienaga
Due famiglie appartenenti alla media borghesia argentina trascorrono gli ultimi giorni d’estate ai bordi di una piscina sporca come uno stagno. Strani comportamenti caratterizzano tutti i personaggi: manie, depressioni, male di vivere. Su tutto e su tutti regna una noia ancestrale che, presumibilmente, li seppellirà.
Straordinario esordio della regista argentina Lucrecia Martel, che aveva finora al suo attivo soltanto un cortometraggio ritenuto da lei stessa di poco valore. La Cienaga è un film di una forza espressiva sorprendente che, pur senza calcare la mano su aspetti particolarmente sordidi (ma facendoceli subodorare in maniera insinuante), descrive con pennellate implacabili la dissoluzione di una classe sociale debosciata e parassitaria. Praticamente ogni personaggio è minato da un male fisico (il bambino guercio) o morale (la madre alcolizzata e placidamente razzista, il figlio che eredita l’amante dal padre, la figlia attratta morbosamente dalla cameriera), e chi invece è troppo piccolo per essere già corrotto, soccombe al richiamo di una fantasia ancora incontaminata. Paladina di un’umanità dalla moralità risentita, la regista non giudica mai i suoi personaggi in modo plateale né tanto meno didascalico, ma mostra lo sfacelo e la decomposizione di chi non ha più nessuna funzione sociale, ma si ostina a vivere calpestando i più deboli. Una fotografia dai colori malati e una regia incollata impietosamente ai corpi disfatti degli attori, contribuiscono a rendere La Cienaga uno di quelle gemme che si possono ancora trovare a fine stagione (come Yi Yi), tra un Van Damme e una commedia idiota, e ci ricorda che il cinema, tra i suoi compiti, ha anche quello di farci aprire gli occhi su realtà diverse, anche le più sgradevoli.