Yukyu sai no chizu (La mappa di un diciannovenne)

di Mitsuo Yanagimachi

Il Giappone esprime una cinematografia che ha come ricorrente protagonista la sofferenza.
L’umiliazione e la fatica di chi non ha lavoro e vive in baracche malsane, la frustrazione di sopravvivere senza la possibilità di essere protagonisti.
In questo panorama emerge una specie di riscatto, un momento in cui un personaggio riesce a sollevarsi e a gridare la propria rabbia, nella maggior parte dei casi in modo sterile e infantile.
Masaru odia quelle persone che lui ritiene stupide, o violente, e si inventa un modo per vendicarsi molto singolare.
Un’etica minimale e intimista, lontana anni luce dalle onnicomprensive ideologie che hanno caratterizzato gran parte di questo secolo.

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