Traffic
Tre storie legate in modo diverso al problema della droga si intrecciano tra Stati Uniti e Messico: due poliziotti (Benicio del Toro e Jacob Vargas) cercano di smantellare il traffico di stupefacenti gestito da due potenti bande di narcotrafficanti, una donna (Catherina Zeta-Jones), in seguito all’improvviso arresto del marito, capisce che le loro fortune economiche derivano dal commercio di droga e decide allora di prendere lei stessa in mano le redini degli affari, mentre il governo degli USA nomina nuovo esponente della lotta agli stupefacenti un uomo (Michael Douglas) la cui figlia è, ovviamente all’insaputa del padre, una tossica convinta.
Soderbergh lavora ormai per le major e con i divi più affermati (vedi Julia Roberts per Erin Brockovich), ma non ha perso il vezzo di giocare a fare l’indipendente e l’intellettuale, così ha la trovata geniale, giusto per darsi un tono, di colorare le tre storie con tre dominanti cromatiche diverse in modo, dice lui, da riuscire sempre a fare orientare lo spettatore nel magma di informazioni che il film contiene. Sarebbe probabilmente bastato uno sceneggiatore migliore e un regista più capace e meno presuntuoso, visto che così com’è Traffic è tutt’altro che un bel film, confuso, per l’appunto, malamente costruito e ancor peggio narrato, moralistico e consolatorio. E l’America, incredibilmente ma fino ad un certo punto, ha premiato con gli oscar proprio il regista e lo sceneggiatore (Stephen Gaghan) di questo sciocco guazzabuglio, lavandosi forse la coscienza per aver dato al “disimpegnato” Gladiatore di Scott la statuetta come milgior film. Ma fra le due bufale forse conviene scegliere quella con Russell Crowe, quantomeno ha meno ambizioni.