The five senses
di Jeremy Podewsa, Canada, 1999, 35mm
Con Mary-Louise Parker, Philippe Volter, Gabrielle Rose, Daniel MacIvor, Nadia Litz, Molly Parker, Pascale Bussières, Marco Leonardi, Brendar Fletcher
Fuori concorso
Nell’arco di tempo segnato dalla scomparsa di una bambina i protagonisti del film si ritrovano improvvisamente e per motivi diversi a fare i conti con le proprie diversità. Inizia così una sorta di canto all’individualità, una spinta all’accettazione della propria differenza. Si può essere diversi perché si è depressi, perché si è gay, perché si sta per diventare sordi, perché non siamo innamorati o perché nessuno ci sta amando, perché si ha un fidanzato italiano o perché si è il fidanzato italiano che non sa l’inglese.
Le eccezioni sociali diventano la regola sulla quale si costruisce una società di un altro tipo. L’essere fuori dagli schemi prestabiliti può provocare una serie sommovimenti lenti, tristezze profonde, solitudini vuote, appuntamenti senza senso nei quali si annusano ex partner. Ma dal punto di vista della propria eccezione si osserva se stessi senza falso pudore, con occhio semplice.
Al suo secondo lungometraggio Podewsa riesce però purtroppo a rintanarsi troppo sommariamente nelle descrizioni del “buio dentro di noi”, senza riuscire a toccare le corde più intime. Esemplificativa la descrizione della adolescente alla quale la vita sembra un abisso. Guarda tristemente fuori dalla finestra, e vede una mosca sul vetro. Si avvicina per giocarci, ma, appena tocca il vetro, la mosca muore. Il film cade spesso in tali eccessi pedanti, senza comunque a descrivere sentimenti e sensazioni in maniera lineare, arrivando talvolta ad annoiare.