THE APOSTLE
di Robert Duvall, con Robert Duvall, Miranda Richardson, Farrah Fawcett, Billy Bob Thornton (Usa, 1997, 35mm)
Terza regia del pluripremiato attore americano, The apostle è un film che sta tra la fiction e il documentario. E’ fiction, perchè racconta la storia di un uomo, di un predicatore alle prese con il suo lato profondo e quasi mistico, ma anche con i suoi errori molto terreni. E’ un documentario, perchè ci guida in un lungo viaggio nella cultura e nella vita degli stati del profondo sud attraverso la storia di un personaggio tipico di quei luoghi. Sonny, predicatore fin dall’infanzia, ha dedicato tutta la sua vita alla religione, alla fondazione di chiese, alla redenzione di anime. Ma ha anche commesso dei peccati, allontanandosi dalla strada della santità che lui stesso va predicando: dopo aver commesso un omicidio dettato dal crollo del suo matrimonio e del suo ruolo di guida spirituale di una piccola cittadina, Sonny elimina tutte le tracce della propria esistenza prendendo la strada della Louisiana e raggiungendo una piccola comunità nella quale riuscirà, ancora una volta, a mettere in piedi una chiesa e a ritrovare il proprio ruolo di guida.
The apostle, pur contenendo elementi piuttosto innovativi nei contenuti, si rifà ad una tradizione cinematografica e ancor prima narrativa tipica delle storie del sud, legata alla figura dello straniero senza passato e senza nome che piomba in città sconvolgendo in qualche misura la tranquilla vita della comunità. Parte quindi da Sinclair Lewis e, passando per il western, arriva fino ai nostri anni mostrandoci che in fondo, da quelle parti, poco è cambiato. Ma è anche un’analisi profonda del personaggio, nè buono nè cattivo, che spesso appare come invasato ma che in realtà si dimostra umano al cento per cento, ben lontano da quella figura di macchietta solitamente riservata a questo tipo di carattere. Ed è persino – come lo stesso Duvall fa notare – un’analisi dell’attore e delle sue contraddizioni, dal momento che Sonny, in fondo, altro non è che un attore, che ha bisogno di un palcoscenico su cui mettersi in mostra e che per questo è continuamente in cerca, in cerca di un teatro ma anche in cerca di un approfondimento di sè e del proprio personaggio, al punto da essere profondamente influenzato e cambiato da ogni esperienza recitativa. E dall’altro lato c’è il pubblico, la comunità, il paese, che ha bisogno di una guida più teatrale che religiosa, di una sorta di maestro di cerimonia che gestisca e organizzi gli intrattenimenti, perchè di intrattenimento, in fondo, si tratta. E allora “La strada a senso unico per il paradiso”, chiesa di campagna, diventa anche teatro, e cinema, diventa spettacolo tutto basato su di un solo personaggio, l’intrattenitore, che urla, canta, balla, mantiene alta la tensione trasformando la domenica in una vera e propria uscita dalla monotonia della settimana. Questo è The Apostle e questo è il sud degli Stati uniti.
Un film ben costruito, talvolta forse troppo lungo, ma in certi punti volutamente monotono al fine di rendere la vera e propria ossessione del personaggio. Duvall è un attore e speriamo che continui a fare l’attore, pur avendo dato un’ottima prova nel ruolo di sceneggiatore e regista. The apostle, tuttavia, ha un neo: paradossalmente è così americano da allontanarsi nettamente dalle esigenze di Hollywood – e quindi del pubblico inteso nella sua accezione più classica. E’ facile prevedere una possibile non – distribuzione (come accaduto ai due film precedenti) o un flop al botteghino. Rimarrà comunque una chicca.