O Rio do Ouro

di Paulo Rocha, Portogallo, 1998, 35 mm.
Con Isabel Ruth, Lima Duarte, Joana Barcia, Joao Cardoso

Una sceneggiatura ritrovata trent’anni dopo per caso, in una scatola, e Paolo Rocha torna al cinema, dopo un esilio
durato veramente troppo (il governo portoghese non finanziava più i suoi film), con un capolavoro.
Il film aveva già suscitato l’ammirazione a Cannes, nella sezione Un Certain Regard.
Paulo Rocha è uno dei più grandi cineasti della storia del cinema, una sensibilità radicale, dalle scelte non sempre
condivise e dettate da una profonda coerenza di stile e da un’ irrequietezza culturale che lo ha portato in ogni direzione.
O Rio do Ouro è un’opera massima, segna l’avvicinamento (o il ritorno…) di Rocha ad atmosfere quasi gitane, piene di musica, racconti, feste popolari; una direzione completamente opposta a quella degli ultimi film del regista, come ad esempio il dittico A Ilha dos Amores (1982) e O Senhor Portugal em Tokushima (1993) dedicato al viaggiatore Wenceslau de Moraes, in cui la passione per la cultura giapponese segna le scelte estetiche di Rocha in film intrisi di una sacralità in cui lo spirito inquieto del regista si placa.
Spirito che viaggia quello della tradizione culturale portoghese; la scelta gitana, “nomade”, di questo film non può non significare una ulteriore spinta al cambiamento di un’arte (quella di Rocha) che è anch’essa nomade e che cerca
qualunque direzione e accetta qualsiasi sfida pur di continuare la propria ricerca.
E poi c’è il Douro…
Il fiume Douro non è una novità nel cinema e nella letteratura portoghese: i versi di Antonio Reis, il film di Manoel de
Oliveira (Douro Lavoro Fluviale); lo stesso Mudar de Vida (1965) di Rocha nasce su questo fiume.
Il corso del Douro, è implacabile, con correnti forti. L’idea è quella di uno spostamento, e ha ancora a che fare con l’arte inquieta e in movimento di Rocha. il Douro, poi, è il fiume dell’infanzia e dell’adolescenza di Rocha. “Durante gli anni Cinquanta, ancora a dolescente, camminavo spesso lungo il fiume alla ricerca di personaggi e di posti da filmare”.
Qui nasce questa storia di povertà essenziale, di emigranti strozzati dalla presenza del capitale straniero. Una storia che trent’anni dopo diventa un film, un film che conserva solo l’aspetto passionale della storia originaria (tutto il resto rimane sullo sfondo), fino a immergersi nel nero di un delitto passionale quanto sorprendente.
L’orrore della vicenda di Carolina, guardia di un passaggio a livello, che accecata dalla gelosia si vendica, uccidendoli, di sua nipote Melita e del suo amante Ze dell’Oro, zingaro venditore di oro, e uccidendo anche suo marito Antonio, pilota di una draga, attratto anche lui dalla giovane, è annunciata sin dall’esordio, dalle canzoni delle lavandaie che sulle rive
del Douro cantano di una tragedia consumatasi anni prima (addirittura in un’altra vita, se è vero che lo zingaro
nell’incontro con Melita e Carolina in treno vede negli occhi innocenti della ragazza il delitto commesso in un’altra vita) e rivelano un presentimento (le storie cantate si sovrappongono nel quadro che si scompone: diventa doppio, triplo…)
Le canzoni e i pensieri cantati, una vecchia canzone popolare in più di una strofa che torna alla mente data la somiglianza dei fatti con quell’orribile vicenda dettano i sentimenti e annunciano l’azione di cui l’acqua resta il più costante interlocutore, in un tempo che è dettato dallo scorrere del fiume. La macchina da presa si muove liberamente, come se volasse tutto; sui luoghi, sui personaggi, delle volte non curandosi affatto della vicenda piena d’odio e d’invidia. Cerca il suo spazio, fino a ricongiungersi, ancora una volta con le rive del fiume.
Nella vicenda implacabile, è perfetta la presenza di Isabel Ruth, vera diva del cinema portoghese, qui uscita da un film di Stroheim o di Griffith, il cui volto impenetrabile nasconde passioni insane, e una folle lucidità. L’invidia per Melita (che non ha un nome casuale) e per la sua giovinezza è la causa delle sue pene.
Carolina non può più provocare desiderio negli uomini, e anche il vecchio Antonio è attratto da Melita. Carolina vive di tradimenti: quello di suo marito, quello del suo amante Ze dell’oro che le preferisce la giovane dopo essere stato con lei.
La sequenza della festa è indiscutibile: è una ballata in cui la passione delle due donne si esplicita e viene esplicitata
anche da tutte le altre donne (le donne già sposate, quelle da sposare…); c’entra qui l’idea di famiglia, quella che
Carolina, costretta a sposarsi già vecchia, forma con suo marito Antonio; e quella che i due stanno cercando di
pianificare a Melita. Ma è presente anche la sfida tra le due, una sfida tra due generazioni e tra due caratteri totalamente opposti che qui è ormai aperta e annuncia che il sangue è vicino.

Cosimo Santoro

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