My name is joe
Un ritorno in Inghilterra in grande stile.
Questo film valeva la penosa elemosina dell’accredito al Torino Film festival (Nescafé style), che a Culicchia è dovuto perché è un grande scrittore illuminato dalla saggezza.
Lingua originale che conferisce alla visione un più aspro sapore di proletariato britannico, attori non professionisti che, come aveva intuito Pasolini, hanno la grande possibilità di impersonare se stessi da protagonisti (finalmente) di qualcosa.
E’ gente insicura che vive il mondo della flessibilità con l’intenzione (a volte debole) di uscire dalle facili consolazioni della polvere bianca.
Non ci sono vie di fuga nelle periferie e nei “sud” di tutto il mondo.
Immagini drammatiche ma credibili, forti e mai retoriche.
Nella prima parte ridi, nella seconda pensi e “scopri” di vivere in un mondo che non è proprio il migliore dei mondi possibili.
Nessun tono didascalico, dialoghi diretti e non troppo sovrapposti come in “Riff Raff” (…alla ricerca di un “realismo” quasi documentaristico).
Il Premio Cipputi mi sembra decisamente misero, ma è l’unico modo per continuare a premiare la solita opera di un paese lontano che ci rende tutti un po’ più buoni.
W Il Festival che ha ucciso Wells, ma che premia Loach (col Cipputi).
Boh… 😐