LOVE IS THE DEVIL
di John Maybury
Uk, 1998, 90′
con Derek Jacobi, Daniel Craig, Tilda Swinton
Il più bel film in concorso.
Maybury slega Bacon dalla sua storia e lo lega alle atmosfere della sua
arte. La ricostruzione della vita del pittore rifiuta il materiale
bibliografico e si basa soprattutto sulle testimonianze di Daniel Farson e dei
personaggi che frequentavano l’artista, completamente discordanti tra di loro,
ognuna con la sua visione di Francis Bacon e con il suo giudizio. Derek
Jacobi interpreta Bacon più nel suo gesto che nel suo linguaggio, un
linguaggio difficile da reperire se non nell’espressione artistica, un Bacon
ricostruito da un’interpretazione indipendente, che con lo scorrere della
pellicola conquista il suo spazio di autonomia e permea l’artista di una nuova
vitalità.
La vicenda ruota attorno al rapporto tra Bacon e Dyer, trasformato da
ladruncolo a una delle icone dell’arte contemporanea. Un rapporto, difficile,
violento quanto morboso.
Nel 1971 Bacon inaugura al Grand Palais de Paris una retrospettiva a lui
dedicata; Dyer resta nella camera d’albergo e ingerisce pillole ed alcool….
La vita dell’artista è fatta di frequentazioni disparate: prostituti,
critici d’arte grotteschi, personaggi strampalati, ammiratori disposti a
tutto: un mondo insieme sofisticato e superficiale che rifiuta Dyer. Mentre
Bacon vive il momento più importante della sua attività artistica e vede
crescere la sua fama in tutto il mondo, Dyer precipita nella droga e
nell’alcool.
Dyer vive lo scarto tra la sua personalità e le sue emozioni e il suo
essere prodotto artistico di Bacon. E’ una relazione che non prescinde la
gratitudine quella che vive Bacon, che non prescinde l’amore quella che vive
Dyer. Il conflitto si misura nell’arte e nella durezza delle parole. Dyer
vive tutto questo con sofferenza, ma dal suo volto duro e quasi inespressivo
non compare nessun segno di dolore. La droga e l’alcool aprono a immagini
visionarie e a momenti di disperazione, che si dissolvono rapidamente per
tornare al carattere essenziale del film e che danno spazio agli stati
d’animo. L’arte di Bacon è sempre presente sulla scena, è l’unico modo per
parlare continuamente dell’artista nonostante il tema principale del film
siano le contraddizioni di Dyer e il declino della storia d’amore.
Gli spazi sono bui, quasi claustrofobici, alla ricerca del senso di
chiusura e del rigore dell’arte di Bacon. La storia si svolge in ambienti che non
hanno nessun legame con l’esterno, le inquadrature sono sempre molto
strette, per una scelta che vuole concentrarsi solo sui personaggi. I costumi e
le scenografie trasmettono a pieno le atmosfere degli anni ’60; le
scenografie, poi, rendono perfettamente il mondo artistico e privato di Bacon. I
colori e le luci sono quelle dei quadri, sempre presenti e vero e unico
legame tra personaggio artistico e personaggio di finzione.
Cosimo Santoro