Hotel Belgrad

di Andrea Staka, Svizzera, 1998, 35 mm.
con Vesna Stanojevic, Nebojsa Glogovac

Ti ricordi quella storiella che Patak raccontava sempre?
Haso vuole insegnare al piccolo Mujo a nuotare.
Lo butta nella Drina e poi gli grida:” Nuota piccolo Mujo, nuota!”
“Nuota meglio piccolo Mujo, meglio!”
“Impegnati di più, ti ho detto!”
Pausa
“Oh merda!”

La regista bosniaca riflette su ciò che ha significato la guerra in Bosnia attraverso la rappresentazione di momenti
personali, racchiusi in una stanza d’albergo, in una notte, in un incontro occasionale, o forse qualcosa di più. Fino al mattino, momento della partenza, e anche di una potenziale, simbolica rinascita (Ora tutto è cambiato…). Momento dell’addio, dopo una notte passata a pensare, a fare l’amore, a ricordare, nell’attesa del nuovo giorno.
I primi piani assediano un volto in costante ricerca di conferme, lo schermo sgrana i gesti e le parole. Gli abbracci e i baci sono la salvezza nel buio. Ma non basta…
Hotel Belgrad è opera che sta alla base di una profonda necessità di sopravvivenza. Ma è troppo lenta, inciampa nelle parole, si affida a formalismi ormai svenduti nell’arco delle possibilità espressive del mezzo. Rischia di distruggere quella necessità di partenza, quel senso di impotenza irreversibile di fronte alla guerra.

Cosimo Santoro

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