Die Siebtelbauern

di Stefan Ruzowitzky, Austria, 1998, 35 mm.
con Simon Schwarz, Sophie Rois, Lars Rudolph

Il conflitto di classe e l’oppressione in un piccolo villaggio austriaco nei primi anni Trenta sono alla base di un film che
potrebbe essere definito come “western alpino”.
Basato su una sceneggiatura originale che ha la densità e lo spessore di una novella, il film di Ruzowitsky tocca,
attraverso un uso fluido della macchina da presa (in un eccellente passagio dai 16 mm. originali), che mischia
inquadrature di stampo teatrale con una esatta distribuzione spaziale dei personaggi a rapidi taglio di montaggio e
accelerazioni improvvise, i temi della democrazia e dell’emancipazione dalla tradizione, attraverso la scoperta della propria libertà di sette contadini una volta ereditata la fattoria in cui hanno lavorato da sempre, e il difficile compito di dover
mantenere, ognuno, questa libertà acquisita, per evitare di essere nuovamente vittime dei soprusi subiti fino alla morte del loro padrone, attraverso le scelte che insieme devono compiere per il benessere comune.
Il film rivela le buone capicità di Ruzowitsky, abile nell’organizzare un discorso che si fa attento alla condizione disperata di personaggi destinati alla sconfitta e vi riflette (l’effetto massimo di questa riflessione sta nei momenti di “silenzio” sui volti e i luoghi con l’accompagnamento musicale di Satie) , in un’analisi e in un’operazione cinematografica che non è mai
sentimentale, ma che fa della sua schiettezza l’arma vincente di questo film. Ruzowitsky, poi, è anche bravo ad
amalgamare i numerosi cambi di registro che raccontano la storia.
Il film è tragico, quasi epico; tuttavia la tragicità ed il senso di morte che pervadono i protagonisti sin dall’esordio è
affrontata con la comicità della gag che rivela la chiarezza di un destino contro cui comunque, eroicamente, combatte.
All’interno della narrazione, la storia di Rosalind si caratterizza come vera e propria “favola nera”. Rosalind partorisce
Lukas (il protagonista) dopo una violenza subita dal fattore, una violenza che tenta di denunciare, e per la quale, grazie ai vantaggi di cui gode il potere, finisce in carcere per quindici anni. La sua vendettà avviene con l’uccisione del fattore, che rende Lukas giusto erede della fattoria, insieme agli altri sei contadini. Nella progressiva raccolta di indizi che svelano la verità, intanto si organizzano i tentativi di ogni tipo da parte degli altri fattori di impossessarsi della fattoria.
L’odio di tutta la comunita (chiesa compresa) nei confronti di chi vuole cambiare le regole e non accetta la volontà di Dio improvvisata da Danniger, Dio vuole che le cose restino come sempre, viene raccontato dalla voce fuori campo di Severin, cui è affidata la narrazione della storia. Personaggio di unione tra le due classi sociali, Severin è un contadino come gli altri, ma lo è per caso, poichè vive senza dimora e continuamente in viaggio; inoltre a differenza degli altri sei, Severin è un personaggio colto e sa anche l’inglese e può aiutare, grazie alle sue conoscenze, Lukas, di cui è segretamente innamorato, alla realizzazione di un’impresa ritenuta folle da tutta la comunità con l’aiuto di Dio (i contadini non possono diventere fattori, la sciagura è in agguato). Non appartenendo a nessuna delle due classi, Severin (cui Ruzowitsky affida la conduzione del proprio sguardo) narra i fatti con neutralità, la stessa neutralità con cui “vive” sullo schermo. Severin ascolta, non interviene mai se non quando gli si chiede un’ opinione. Assorbe nel silenzio la vicenda
per poterla poi narrare.
Ruzowitsky tratteggia dei personaggi quasi fuori dal tempo, a cominciare da Emmy che rivendica il riconoscimento della donna anche quando si tratta di cose importanti come la conduzione della fattoria. La costruzione di Emmy è
ineccepibile; è un personaggio duro e combattivo che non ha paura. Il vero motore della rivolta.Mentre Lukas è un vero e proprio “goldenboy”, leale e coraggioso, allegro (la scena della “Donna è mobile” ) ma anche con i limiti di chi non ha un’istruzione, e inoltre ha poca iniziativa e ha bisogno degli stimoli che gli vengono dati da Emmy e degli insegnamenti di Severin di cui coglie i sentimenti ( Io voglio bene a tutti ).
Die Sibtelbauern finisce con l’essere un film quasi senza tempo, corale, politico, profondamente legato ai valori del
marxismo; un film che cerca la libertà e che dimostra un profondo legame con l’idea di “territorio” (il villaggio rurale, i
campi da pascolo) da difendere, e che deve garantire a tutti le sue risorse.

Cosimo Santoro

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