Die jungfrauenmaschine

di Monica Treut
Germania 1988
Sezione narrativi
95’
Monica Treut “faceva cinematrografia gay prima ancora che qualcuno si fosse preso la briga di inventare il cinema gay”. Nella rappresentazione simbolica che la Treut presenta nei suoi film, si riassume l’estremo del “pensiero particolare”, lo choc della narrazione scarna e liberatoria. Il film “Die jungfrauenmaschine”, nel 1988, fu uno scandalo. La protagonista nega l’importanza della liberazione femminile, la rappresentazione del se libero della protagonista appare un dato di fatto slegato da qualunque motivo pregresso. La sua ricerca sull’amore romantico la attanaglia, e decide di partire per San Francisco per cercare la madre. Ma la città la riporta sui suoi passi, le fa scoprire il suo lesbismo e la trascina in avventure dal sapore completamente opposto rispetto all’amore romantico. Il processo di crescita verso il lesbismo è rappresentabile solo attraverso una perdita totale del sogno infantile del principe azzurro, solo attraverso la perdita di fiducia nel, d’altronde impossibile, rapporto a due.
Purtroppo il film cade in tutta la prima metà in un abisso di simbolismi che dovrebbero forse spiegare la morbidezza della protagonista prima della sua partenza, ma che ottengono solo l’effetto di annoiare. Si ha la sensazione che la registra ecceda nel descrivere uno stile di vita antiquato e piatto, mentre la fotografia, seppur ricercata, non trasmette la sufficiente intensità emotiva. Il finale restituisce comunque il sorriso….

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