Barrio

di Fernando Leon de Aranoa, Spagna, 1998, 35 mm.
con Crispulo Cabezas, Eloi Yebra, Timy

Dopo Familia (1997), Fernando Leon de Aranoa realizza una pellicola che ha già ottenuto un riconoscimento importante
come il premio per la migliore regia (oltre a quello per la migliore sceneggiatura) all’ultimo festival di San Sebastian.
L’accoglienza a Torino è stata tuttosommato buona.
Il film dimostra un senso dell’economia narrativa sin dai primi minuti. Le vicende dei tre ragazzini di un quartiere estermo
di Madrid (per chi conosce la città, siamo nelle vicinanza dell’aereoporto di Baracas; in più una fermata della
metropolitana inquadrata è quella di Iglesia, un’ ultima fermata del metro, un capolinea…) vengono raccontate con ironia e leggerezza, sostenute da una sceneggiatura pulita che si affida alla parola e al gergo, costruisce una serie di battute folgoranti che non danno tregua allo spettatore, e soprattutto non introduce e non approfondisce, poi nel corso del film, nessun discorso drammatico e non tenta nemmeno di sviluppare una consapevolezza sociale che sarebbe soltanto d’impiccio ad una narrazione che ha proprio nella sua leggerezza il suo valore.
Anche in questo film, come già in Familia, l’attenzione di de Aranoa cade sui rapporti che si sviluppano all’interno dei
nuclei familiari; ma stavolta lo sguardo si allarga, e si sposta anche al di là dell’istituzione familiare per rappresentare
tutto un tipo di società, quella che vive in un quartiere periferico, dalle case, prefabbricati, casermoni, tutte uguali, in una città che è solo grigia (il film è completamente girato in periferia). Una società rappresentata e narrata nel suo quotidiano, nei negozietti a buon mercato, nelle piazzette senza alberi, nella musica e nella televisione a tutto volume.
In questa micro-società si muovono Rai, Javi e Manu, tre ragazzini come tanti, già condannati ad un non futuro nella
migliore delle ipotesi (sorte che tocca a Rai…), che rincorrono il sogno comune a tutti di fuggire un giorno dal loro
quartiere e di vivere una vita diversa, una vita che offra cocacola che sgorga dai rubinetti, che sia piena di trofei, in cui ci si possa permettere una tuta della Nike.
Rai ha davvero la sorte avversa; e la sfida ripetutamente, prima rubando in un piccolo supermarket del quartiere,
coltivando il sogno di poterlo fare, un giorno, anche ne El Corte Inglés de la Castellana, fino a quando tenta il furto di un automobile che gli sarà fatale. Manu ha una volontà di ferro che contrasta con il suo corpo minuscolo, ha problemi con il padre disoccupato e alcoolista, ed è ossessionato dalla presenza (assenza) di un fratello che ha avuto successo nella vita…;Javi ha problemi in famiglia, una famiglia in rotta e senza dialogo, con un nonno sordo e una sorella che balla la salsa a tutto volume e si preoccupa solo di essere bella per poter, un giorno, essere portata via anche lei.
I protagonisti nell’idea di de Aranoa non sono i classici bulli di quartiere, ma, insomma dei ragazzi fragili ed intelligenti
completamente allo sbaraglio e senza modelli culturali da seguire.
Ironia e pathos si affiancano costantemente nel film, in una conduzione del racconto prevalentemente piana e senza
eccessi. Incredibile e di effetto è invece la variazione dei toni che cambiano costantemente a seconda dell’avvenimento, ora dimessi (Manu che cerca lavoro), ora disperati (la sorella di Javi dopo la separazione dei genitori), ora sorprendenti Javi sorprende la sorella che fa l’amire in macchina).

Barrio è un film musicale. Un miscuglio di rock spagnolo e rap (qui siamo già in una scelta più convenzionale). Tuttavia
la musica pur ricoprendo con efficacia il ruolo di accompagnamento alle immagini, sempre in modo misurato e nei
momenti in cui l’economia del film lo richiede, sembra non essere una presenza insostituibile. Più che altro si rivela come doppio, parlato (rappato) di immagini che già nel loro silenzio direbbero…L’esplicito contenuto politico dei testi restituisce forse alla struttura narrativa quell’impronta di accusa che la sceneggiatura aveva evitato.
Ma in fondo, anche se così fosse…

Cosimo Santoro

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