Ai Ni Tsuite, Tokyo (Sull’amore, Tokyo)

di Yanagimachi Mitsuo
Giappone, 1992
35 mm., 110 min.

Uno dei più bei film visti al Bergamo Film Meeting, ormai giunto alla
17a edizione, e che anche quest’anno si conferma come uno dei migliori
Festival (uno dei più bei programmi visti fin ora) del panorama internazionale.
Quasi un fatto di cronaca. La descrizione serrata, analitica di
Yanagimachi risparmia l’esplosione dei sentimenti; la consapevolezza della felicità
impossibile avvolge tanto i giovani studenti emigrati dalla Cina, quanto
il potente Endo, boss del Pachinko . Ai Ni Tsuite, Tokyo si dichiara sin da
subito come un’opera di scontri, quello essenziale tra due culture, quello
tra due uomini che lottano per la stessa donna, quello tra due generazioni.
Da una parte il giovane Ho Jun, che si trasferisce a Tokyo per studiare
giapponese e lavora in un macello; dall’altra il boss Endo, uomo potente
nella vita quanto impotente sessualmente. Al centro la giovane Ailin, cinese,
ma che in Cina, non è mai stata e per questo la idealizza come terra in
cui tornare. Negli “affari” e nei contrasti tra Ho Jun e Endo, Ailin diventa
merce, Ho Jun, ne è il protettore, Endo il suo cliente. Tutti accettano
tutto, in un’idea di cinema materialista, dalla messa in scena asciutta e
lontana da ogni psicologismo di stampo socio-politico, i personaggi vivono le
reazioni del loro corpo, Ho Jun nel gesto ripetitivo e non drammatico
dell’arma che ammazza gli animali, Endo estremizza le sue reazioni
nell’impossibilità di potersi sentire completo a causa della mancanza fisica, i primi
piani su Ailin rivelano la sua innocenza prima, le paure, una
consapevolezza acquisita poi. I personaggi si muovono su posizioni diametralmente
opposte e poi si incontrano, si incontrano i loro corpi prima e le loro idee
poi, mentre le idee ancora esitano nella dinamica dei rapporti sociali,
razziali, sessuali, economici (lo stesso avviene in Saraba itoshiki daichi, Addio
amata terra natale, 1982). E nell’incontro esplode la violenza del
linguaggio corporeo, incomunicabile perché primitivo ed inconscio.
Il film si affida ad una sceneggiatura stabile, porta in atto un presente
non lontano dal suo passato ed una serie di soprusi, costrizioni, scambi
ineguali di fronte a cui lo sguardo di Yanagimachi si fa neutrale e predilige
soluzioni visive chiare e quasi didascaliche; diventa ironico poi nel
cogliere alcuni aspetti di questa volontà di non comunicazione verbale (la
quasi gag della non conversazione cinese-giapponese); il suo sguardo esplora
certe marginalità e vi riflette, il lavoro di messa in scena si limita a
constatare le cose e diventa il giusto sfondo di una Passione
incontrollabile. Che poi alla fine si placa in un senso di accettazione che fa
dimenticare (o non dimenticare) a Ho Jun l’amore per Ailin, “necessariamente”,
secondo quest’ottica, fuggita con Endo, nonostante non lo ami. Il film ci
insegna una rinuncia, sembra quasi essere l’unico rimedio per continuare a
vivere. Ho Jun si aspetta (senza illusioni) qualcos’altro, un nuovo amore. Sa già che non sarà così.

Cosimo Santoro

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