After Life

di Kore-eda Hirokazu, Giappone, 1998, 35 mm.
con Arata, Taketoshi Naito, Kyoko Kagawa

Arriva dall’autore di Maborosi (1995), premiato a Venezia, Chicago e Vancouver, la proposta di un Limbo tra il cielo e la terra in cui uno staff di “guide” hanno a disposizione una settimana esatta per permettere un ultimo momento di gioia ai defunti. I momenti scelti, la domanda che viene posta è quale ricordo vorresti rivivere, sono poi filmati e proiettati e permettono il passaggio nell’eternità.
Decidere il proprio ricordo non è così facile, e ruolo fondamentale è quello ricoperto dai membri dello staff e il film punta proprio sui tipi di relazione che nascono tra lo staff del limbo e i defunti.
After Life si snoda nella sua struttura con chiarezza e linearità. E’ l’opera di una sensibilità acuta che coglie attentamente le incertezze dell’animo umano nella dolorosa consapevolezza della morte raggiunta e che indaga nelle reazioni di fronte a questa verità assoluta, dal ragazzo poco più che ventenne che arbitrariamente non vuole scegliere il proprio ricordo per
assumersi la responsabilità piena di tutta la sua (breve) vita, all’ anziano che ha bisogno di riguardare settanta
videocassette, quanti sono gli anni della sua vita, per scoprirne il momento più intenso, quello passato con la moglie su
di una panchina a ricordare il giorno del loro primo incontro, in cui scoprirono una “comune” passione per il cinema,
anche se alle domande di lei su Rebecca lui non seppe rispondere…, fino alla serenità con cui gli altri anziani del gruppo accettano l’idea di essere morti, in una valutazione del tempo che ricalca l’effimero di Ozu; un tempo che può essere effimero solo nella consapevolezza di chi ha vissuto abbondantemente la propria vita e non certo di chi l’aveva appena
cominciata e non si rassegna alla scelta (la ragazzina che cambia idea su Disneyland perché troppo giovane per saper scegliere, lo stesso ventenne che non vuole scegliere perché non si rassegna ad una scelta). Fondamentale, e a sostegno dell’idea di integrazione, è il ruolo sostenuto dallo staff, che si mette a completa disposizione dei nuovi arrivati,
cercando di capirne la psicologia e le attitudini, tentando talvolta dei suggerimenti. Numerose sono le sequenze del film in cui lo staff è rappresentato al lavoro nella volontà di poter garantire a tutti l’esito di quest’ ultima riconciliazione con se
stessi…
Un’ integrazione che si spinge oltre quando scopriamo che l’anziano settantenne scegli il ricordo della panchine, mentre sua moglie, morta prima di lui aveva scelto di ricordare un’altra panchina, quella che aveva condiviso ne silenzio e negli
abiti bianchi dell’uniforme e della giovinezza ( quando è con suo marito, nel ricordo di lui, entrambi sono vestiti di scuro) con Watanabe, protagonista del film perchè elemento chiave di questa integrazione, a cui era legata prima di sposarsi e prima che Watanabe, “naturalmente”, morisse…
La divisione tra staff e ospiti verso l’eternità non esiste. Le categorie collaborano nella solidarietà della condizione precaria dell’uomo; ci possono essere delle sostituzioni: il giovane ventenne sostituisce proprio Watanabe che non aveva mai scelto il suo ricordo e che quindi non poteva compiere il passo finale, e che ora invece sceglie, rivedendo il
filmato del ricordo dell’unica donna che ha mai amato; Wanatabe sceglie nel momento in cui si rende conto di essere
stato amato, ma il suo è un atto di pacificazione oltereché d’amore.
Il raggiungimento dell’eternità richiede l’annullamento di tutti i ricordi e lascia la sensazione di un unico ricordo scelto e
felice con cui restare per sempre. Tutto il resto viene distrutto. Nell’ ineluttabilità di questo destino si scrivono lettere,
si lasciano ricordi (il libro), si realizzano video, nel disperato tentativo di una conservazione dell’umanità. Un immenso
patrimonio che inevitabilmente resta lasciato incustodito…
Ritorna il tempo effimero che spazza via tutto (contro il quale si prende a calci la neve, per lasciare un impronta). Contro
l’inevitabile passaggio nell’eternità, contro la definitiva scomparsa, il film tenta di aggrapparsi ad una qualsiasi forma di cronologia. Il film si suddivide in giorni. Ogni giorno è accompagnato da una didascalia. Ma basterà questo per definire l’esattezza di un momento quando questa suddivisione non fa altro che accellerare l’idea che tutto andrà perduto?
After Life è ricco di soluzioni visive, a cominciare dai formati (presenti anche 8 e 16 mm.) che appoggiano i diversi
momenti tematici e sentimentali del film, in un continuo passaggio da bianco e nero a colore. Particolare rilievo occupa la
presenza nel cast di due esperti come Yamazaki Yukata e soprattutto di Sukita Masayoshi che ha contribuito anche alla
realizzazione di Mistery Train di Jim Jarmush e che qui si occupa in special modo delle scene che riguardano la
costruzione dei ricordi.

After Life merita un premio…

Cosimo Santoro

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