A La Place du Coeur
, Francia, 1998, 35 mm.
con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan
Guédiguian afferma che la necessià per Baldwin, da cui è tratto l’utimo film del regista francese, di mostrare il carattere
eroico dei personaggi può essere valida anche nella Francia dei nostri giorni. Peccato che questo carattere eroico dei
personaggi nel film perda colpi con il procedere della storia, e proprio quando le situazioni si fanno più drammatiche e
ormai destinate a una non soluzione. L’iniziale secchezza con cui il film descrive e narra i luoghi e i personaggi nella prima parte del film scivola nella seconda in una descrizione ed in una narrazione incondizionatamente, personalmente romantica e slegata dalla storia che vieta all’evolversi delle cose di conservare l’iniziale neutralità del loro essere fatto e che trasforma quell’eroismo,che sottende i caratteri delle due famiglie, svuotandolo paradossalmente proprio nel
momento in cui, se mantenute le premesse della prima parte del film, avrebbe dovuto manifestarsi maggiormente.
A La Place du Coeur, ottavo lungometraggio, conferma Guédiguian come regista discontinuo.
Questo suo ultimo è un film che può essere considerato tranquillamente come un ripiego di quello precedente che però è un capolavoro, un’opera che scorre senza estremismi nella sceneggiatura e soprattutto senza momenti di enfasi. Marius
et Jeanette ha permesso la conoscenza di Guediguian da parte di un pubblico più vasto, e ha scatenato il pubblico del
Festival Cinema Giovani l’anno scorso dopo la proiezione di chiusura; ma già A la Vie à la Mort!, opera che ha fatto
conoscere Guédiguian in Italia, è un film che non riesce a convincere proprio perché il regista, come succede ne A La
Place du Coeur, cerca di esasperare l’eroismo che nasce da situazioni di estremo disagio esistenziale ed economico a tal punto, che immancabilmente ottiene l’effetto contrario.
Qui la voce fuori campo di Clim, a cui è affidata la narrazione della storia, ci introduce un ambiente che è quello di sempre guardando un film di Guèdiguian. Siamo ancora a Marsiglia, l’ambiente è quello della classe operaia; due famiglie sono legate dall’unione dei rispettivi figli. Solo che il ragazzo, di origini africane, e adottato insieme alla sorella, si trova in
carcere accusato (ingiustamente?) di stupro. Rispetto agli altri film nel tessuto narrativo non ci sono grosse variazioni. I
protagonisti si trovano ad affrontare una serie di problemi che uno dopo l’altro, aggravano la loro posizione, anche se
poi, contro gli accanimenti del destino, arriva il lieto fine (secondo un’idea di cinema umanistico che non può tradire
l’uomo) che porta alla salvezza.
La Marsiglia di A La Place du Coeur è raccontata con un formalismo (soprattutto nella prima parte del film, che rimanda a Bresson) che è totalmente estraneo a Marius et Jeanette, in cui la macchina da presa regge l’evoluzione della vicenda e
ne favorisce i dialoghi, il terreno d’azione su cui brillantemente si muovono Ariane Ascalide e Gérard Melyan.
Anche se poi, in un completo cambio di registro, il cineasta torna alle sue abitudini, appoggiando completamente la
vicenda da un punto di vista emotivo, e rendendola così personale, come se fosse la sua, e non più quella di un gruppo che lottano contro la sfortuna in una società razzista.
Sembra eccessiva l’idea di un personaggio femminile bosniaco, la donna che sarebbe stata violentata da Bébé, che implica il viaggio fino a Sarajevo della madre di Clim, momento questo di riflessioni personali di Guédiguian sulla guerra e la povertà (che Marsiglia sia come Sarajevo?), nei primi piani e dettagli di edifici bombardati, nella caratterizzazione dei personaggi.
Un altra nota dolente è la canzone Avec le temps di Leo Ferré, in quel modo, da sottofondo a quel dialogo…
Il film, ritornata Marianne in Francia, perde completamente nel finale, e precipita in un vicolo cieco con i suoi personaggi.
E se non ci fossero i Deus ex Machina…
Cosimo Santoro