Yi Yi

Una famiglia di Taiwan si dibatte fra piccoli e grandi problemi quotidiani: il capofamiglia non sa che strada imboccare per salvare dalla bancarotta la ditta in cui lavora; sua moglie, colta da crisi esistenziale, si rinchiude in un monastero; la figlia adolescente inizia a scoprire quanto l’amore possa fare soffrire e infine il piccolo Yang Yang, continuamente vessato dalle sue compagne di classe, decide di cominciare a fotografare le nuche delle persone, per mostrare loro quello che altrimenti non potrebbero mai vedere.
Distribuito con un ritardo deplorevole (era in concorso a Cannes 2000), Yi Yi è uno dei film più belli della stagione, pur se trattato come un fondo di magazzino. Le storie che racconta partono da un approccio apparentemente minimalista, ma si allargano a rappresentare l’intera condizione umana. Il regista, Edward Yang, scava con affetto e pudore nei comportamenti spesso contraddittori (dunque smaccatamente umani) dei suoi personaggi, non vuole violentarne l’intimità e spesso sceglie di riprenderli in campi lunghi o dietro le vetrine dei ristoranti nei quali si fermano per mangiare. Ma la regia mostra altre qualità, per esempio un gusto finissimo ed estremamente elegante nella composizione delle inquadrature, mai stucchevoli né estenuate e, sempre per virtù di stile, riesce a comunicare la tristezza quieta della condizione umana, in cui a volte si è disperatamente soli (non è un caso che moltissime scene si aprano su campi vuoti), altre volte ci si trova in compagnia di decine di persone senza che si riesca a fare a meno di quel senso di disagio originato dal pensiero che la vita va avanti comunque e la solitudine, scacciata dalla porta, può in ogni momento rientrare dalla finestra (si pensi a tutte le inquadrature traboccanti di personaggi che compiono diverse azioni contemporaneamente, tanto che l’occhio dello spettatore è costretto a focalizzarsi in una porzione di spazio e lasciare scoperto il resto del quadro). Aperto da un matrimonio e chiuso da un funerale, Yi Yi è la vita, e avrebbe meritato ben altro rispetto.

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