TORNANDO A CASA

Quattro pescatori, tre napoletani e un tunisino, sono costretti, per campare, a spingere il loro peschereccio fino alle coste africane, dove si spera che i fondali siano più ricchi ma anche dove incombe, pressante, la minaccia di essere inseguiti a fucilate dai guardacoste africani. Quando, stanchi di rischiare la vita ogni notte e di trascorrere giorni interi lontani dalle rispettive famiglie, decidono di battere soltanto le acque napoletane, dovranno fare i conti con la violenza degli altri pescatori, contrari a questa inedita concorrenza tra miserabili.
La parte più miope della critica italiana, sentendo parlare di cinema e pescatori, ha subito pensato bene di accostare la pellicola di Marra alla Terra trema di Visconti, film che peraltro il regista ha dichiarato di non avere mai visto, così come neanche Stromboli di Rossellini. E infatti fra le due opere non c’è un solo punto in comune, pescatori a parte. Il bellissimo film di Visconti era una rilettura in chiave marxista dei Malavoglia e soffriva tremendamente delle contraddizioni che dominavano l’autore il quale, sospeso tra comunismo e aristocrazia, aveva diretto una storia di miseria con un’eleganza formale abbagliante, creando una drammatica discrasia tra forma e contenuto. L’opera di Marra, pur tra difetti, squilibri e un finale metaforico che stride con l’impostazione neorealistica dell’assunto, rientra per l’appunto nella corrente di un certo neorealismo di ritorno, corrente che non vuol dire scuola e che è interpretata con mille sfumature diverse, sparsa in disordinati rivoli che solcano un po’ tutto il mondo (si pensi a Kiarostami, ai fratelli Dardenne, in parte a Dumont). Per concludere, il film di Marra è forse più importante che bello, più nobile che pienamente risolto, ma da vedere comunque, anche per lasciarsi commuovere dalla verità che nasce dalle espressioni dei suoi magnifici non-attori.

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