La Pianista
Regia di Michael Haneke, dal libro di Elfriede Jelinek,
Con Isabelle Huppert, Benoit Magimel e Annie Giradot
Vincitore del Grand Prix de Jury -Migliore Attrice: Isabelle Huppert -Miglior Attore: Benoit Magimel
Ritornando a casa di sera tardi, la trentenne Erica (Isabelle Huppert) trova la madre, morbosamente preoccupata, ad aspettarla alzata. Dopo un violento litigio, entrambe rimpiangono la loro ostilità. La scena presenta la casa come una fortezza claustrofobica, priva di amore e comprensione. Erica, allevata per diventare una pianista di successo, ha sacrificato i desideri al talento. L’educazione rigida e disciplinata l’ha trasformata in una donna fredda incapace di interagire con gli altri. Nel suo isolamento, ha costruito un mondo sinistro fatto di fantasie sessuali di sommissione, dolore e umiliazione per bilanciare sia la madre tirannica che la propria autorità di insegnate severa. Finite le lezioni, Erica frequenta squallidi locali porno dove soddisfa il proibito piacere voyeuristico. Poi, chiusa nel bagno di casa, si sottopone a cruenti atti sadici.
Erica non può comunicare con nessuno. Sedotta da Walter Klemmer, uno studente (Benoit Magimel), è incapace di stabilire con lui un rapporto sensibile e amoroso. Lo introduce invece nella sua perversione con una lettera-manuale in cui descrive le torture che Walter dovrà infliggerle. Naturalmente, la sua compulsione ad essere dominata pur mantenendo il potere, esce vertiginosamente fuori controllo. La repulsione e incomprensione dello studente si trasformano infatti in curiosità violenta e desiderio masochista, mentre il confine tra il forte e il debole inizia ad offuscarsi.
Il film è strutturato infatti attorno ad una sorta di relazione hegeliana padrone-schiavo, in cui entrambi i ruoli sono interpretati da più protagonisti contemporaneamente. La trasgressione di Erica del ruolo femminile tradizionale, non è un’appropriazione femminista di caratteri maschili, ma una triste ammissione: la protagonista non ha identità stabile, oscilla tra sottomissione e dominio, tra repulsione e attrazione al sesso. Tutto ciò la spinge ad oggettivare il proprio corpo, ma a diventare allo stesso tempo una donna fallica, che entra in mondi pervasi da fantasie maschili. Per questo La Pianista, non è un film sulla pornografia, ne un film porno. La pornografia implica desiderio, Erica invece reprime la sua libido, costruendosi una sessualità artificiale e malata. Sia Haneke che Jelinek, l’autrice del libro, non condannano le pratiche estreme, ma con sguardo clinico criticano l’aspetto mostruoso del cuore umano e gli orribili risultati dell’oppressione sociale. Erica non troverà redenzione, né felicità. Rimarrà inconsolabile e scivolerà nel buio della sua prigione.
Questo è un tipico film di Haneke. Probabilmente più inquietante di Funny Games, offre una versione più ovattata della violenza e un dramma più acuto. Il tono è greve e cupo come il concerto di Schubert preferito da Erica, dove la sanità confina con la pazzia, un posizione precaria che anche lei occupa. L’effetto sconcertante è cristallizzato dalle interpretazioni coraggiose -soprattutto quella della Huppert, la cui posatezza nasconde un orrore minaccioso e tetro. La musica toccante e agghiacciante dà ancora più spessore alla tragedia.