L’uomo in più
A Napoli, nel 1980, due uomini legati soltanto dall’omonimia (si chiamano entrambi Antonio Pisapia) sono al massimo del loro successo: uno è uno stopper timido e riservato, l’altro è un cantante confidenziale, modello Fred Bongusto, cocainomane e donnaiolo. Un grave infortunio ad un ginocchio e un arresto per violenza nei confronti di una minorenne rappresenteranno la battuta d’arresto per le rispettive carriere.
Parabola quasi scorsesiana di ascesa e caduta, il film di Paolo Sorrentino è una sorpresa piacevole e conferma l’importanza della scuola napoletana nel panorama odierno del cinema italiano. Nerbo nel racconto, messa in scena orgogliosamente cinematografica e non paratelevisiva (con ricorso appropriato al piano sequenza), una capacità notevole di dirigere gli attori (tutti superlativi), fanno del film un’opera non scevra di difetti (nel finale, quando i destini dei due personaggi devono in qualche modo sfiorarsi, si riscontra una certa macchinosità nel raccordare le due storie e qualche difficoltà nel trovare il modo più adeguato per chiudere la pellicola), ma coraggiosa e stimolante, soprattutto lontana mille miglia dalla mai tanto deprecata moda minimalista e da qualsiasi tentazione di cadere nell’infame categoria del “carino”.